Viviamo sicuramente un momento estremamente interessante per il campo del customer service: le modalità con cui vengono erogati i servizi di assistenza clienti ridefiniscono sempre più il rapporto cliente-azienda; cambia il modo in cui viene concepito il Customer Care: integra sempre più e sempre meglio nuovi e moderni strumenti. Ormai, si sa, l’assistenza clienti è multicanale: vi è più di un modo per interagire con un’azienda. Dai classici mezzi quali email e telefono, ai social network, sino ad arrivare alle app come Whatsapp. Gli sviluppi più interessanti riguardano, però, i chatbot. Come definirli?
In un articolo, The Guardian ha descritto i chatbot come “programmi che imitano le conversazioni con persone reali utilizzando l’intelligenza artificiale. I chatbot trasformano il modo in cui si interagisce con il web.”
Nell’ambito del customer service, i chatbot utilizzano il potere crescente dell’artificial intelligence per permettere agli utenti di interagire con un’azienda esattamente come farebbero con un addetto all’assistenza clienti.
Ma quali sono i benefici che si possono ottenere dalle chatbot? Vediamone alcuni.
In questo articolo:
Chris Messina, inventore dell’hashtag poi passato a Uber, ha scritto un articolo nel quale preannunciava l’ascesa di qualcosa che lui definiva conversational commerce. Lo descrive come “l’utilizzo di chat, servizi di messaging o altre interfacce di linguaggio naturale per interagire con le persone, brand, o servizi e bot che fino a questo momento non hanno avuto un vero posto nel contesto bidirezionale e asincrono del messaging”.
Secondo Messina il risultato è il conversare con le aziende tramite Facebook Messenger, Whatsapp, Telegram, Slack e trovarlo assolutamente normale.
La sua visione di conversational commerce ben si inserisce quest’anno con l’esplosione prevedibile delle chatbot. Piattaforme di messaggistica come Facebook Messenger hanno investito recentemente in maniera imponente sui chatbot; sono stati introdotti negozi virtuali di bot (bot stores) ai quali gli sviluppatori possono accedere, codificare e costruire da soli un chatbot a loro gusto.
La reazione iniziale ai chatbot è stata per certi versi abbastanza tiepida – la loro abilità nel gestire il linguaggio naturale a volte lascia a desiderare – ma è bene ricordare che siamo solo agli inizi di una appassionante evoluzione delle comunicazioni B2C.
Secondo Gartner nel 2020, l’85% delle interazioni con i clienti sarà gestita senza l’apporto umano.
L’ascesa dei chatbot si incastra perfettamente in questa predizione.
Spesso, il punto su cui si dibatte di più, quando si parla di automatizzazione dei servizi di customer care è incentrato sul “tocco umano”, ovvero quel contatto che solo un operatore in carne e ossa può stabilire e che un bot non sarebbe in grado di dare; tuttavia una ricerca ha dimostrato che ben il 40% dei clienti preferisce soluzioni self-service, soluzioni in cui in poche parola se la sbrigano da soli.
In più, Zendesk ha trovato che più del 50% dei clienti ritiene importante il fatto stesso che loro possano risolvere i propri problemi da soli senza dover aver a che fare con addetti all’assistenza clienti.
I clienti sono inoltre molto interessati nell’interagire con le aziende tramite messaggi (e già lo stanno facendo). Addirittura uno studio commissionato da OneReach (piattaforma di comunicazioni in cloud) rivela che il 64% dei clienti preferirebbe scrivere un messaggio piuttosto che chiamare un’azienda e alcuni dati rilasciati durante la F8 Conference, Facebook Developer Conference, hanno dimostrato che più di un bilione di messaggi sono stati inviati alle aziende ogni mese.
Combinando i due approcci, self-service e messaggistica/sms, ecco che si arriva alle chatbot.
La cosa interessante e che queste fanno leva, alla fine, su un canale che i clienti già stanno utilizzando (messaggistica istantanea, sms) integrandolo con il loro desiderio di esperienza self service.
Le chatbot sono sicuramente più veloci di un operatore a parità di tempo; questo è abbastanza ovvio poiché la capacità di processare le chiamate in entrata dagli operatori è comunque più limitata per motivi legati al tempo dedicato alla singola interazione, che è molto variabile.
È chiaro che poi il fattore che fa la differenza sull’utente finale è la qualità della risposta. Spesso si parla delle “freddezza” delle interazioni che avvengono con un sistema automatizzato, rispetto al “contatto caldo” che si può venire a creare con un operatore.
Ma se si parla di efficienza e velocità, le chatbot, tuttavia, si dimostrano ottime nell’erogare una buon servizio di customer care: i clienti possono digitare la loro domanda e ricevere una risposta praticamente immediatamente, il tutto è basato su una logica pre-programmata.
Tuttavia la parte interessante di tutto questo è che prendendo l’aspetto migliore di entrambi, ossia la velocità garantita dalla chatbot e il contatto caldo dell’operatore, e combinandoli si può arrivare praticamente ad una perfetta customer care.
Qui sotto propongo un esempio che riporta una esperienza di customer care attraverso Facebook Messenger con il negozio Spring.
La chatbot di Spring chiede ad esempio se l’utente stia cercando articoli maschili o femminili; in seguito chiede quale tipo di articolo si vuole cercare, la fascia di prezzo e così via. Tutto in rapida successione. In poco tempo ci si trova a guardare tutti i risultati in maniera veloce e facile.
Partendo da una conversazione con un bot per arrivare poi a scrivere ad un operatore per le richieste più specifiche è un buon modo per garantire un’ottima customer experience ad ogni cliente.
Tutto ciò che concerne i contenuti visuali – quindi immagini, foto, disegni – hanno un altissimo impatto nell’essere umano; infatti processiamo le immagini 60mila volte più velocemente di quanto facciamo con i testi.
Le immagini sono una veloce e facile via per comunicare informazioni, per cui è interessante il fatto che le chatbot possono incorporare media come immagini e GIF nella conversazione.
Anche se le chatbot principalmente comunicano tramite testo scritto, le immagini però aiutano le chatbot a farle sembrare più umane; inoltre mostrano un prodotto che è più facile da far vedere che descrivere.
Tornando all’esempio dell’e-shop di Spring, una volta che si scrive che tipo di prodotti si desidera cercare, il bot risponde con varie opzioni con immagini sulle quali è possibile cliccare ed espandere per avere più informazioni.
Il timore più grande sulle chatbot riguarda il fatto di avere con loro una user experience fredda, a tratti goffa (con risposte non troppo pertinenti) e robotica. In ogni caso i bot possono restituire una user experience senza troppi intoppi, umana quando scritta correttamente.
Dipende concretamente dal tipo di comunicazione del proprio brand/azienda, se formale o informale.
Se il brand usa solitamente un tono informale, il linguaggio quotidiano e il fatto di utilizzare nelle chatbot il “noi” o “io” funziona sicuramente.
Al contrario, se l’azienda ama i toni formali, è preferibile la terza persona e un linguaggio non troppo quotidiano.
Tornando al caso di Spring, il tono utilizzato era chiaramente sull’informale: per cui quando il bot risponde con “Hey ciao” e parla di sé con il “noi”, si percepisce ad esempio più umanità. È probabile che quasi la differenza non si noti tra la risposta del bot (a sinistra) e la risposta dell’operatore (destra) quando entra nella conversazione.
I brand si dimostrano sempre più recettivi nell’utilizzare le chatbot nelle loro comunicazioni verso il cliente.
I mesi a venire sono sicuramente determinanti per capire quanto queste possano realmente giocare un ruolo chiave nell’erogazione del customer service; i benefici appena elencati chiariscono intanto sicuramente due punti: l’ascesa indiscutibile delle chatbot e il loro grande potenziale.
Hai già provato il nostro chatbot? Rimarrai sorpreso dalle sue potenzialità ?
Valentina Mangia
Emanuele